L’uomo del sottosuolo è l’uomo senza
miti e senza punti di riferimento, che cioè non riconosce nessun limite alla sua libertà, nulla che possa imporglisi come un principio superiore che abbia l’autorità di dettargli delle leggi o dei criteri su cui fondare la propria
vita. Egli, insomma, è totalmente libero, ma la sua libertà è completamente vuota di contenuto, tanto che egli stesso la definisce come il suo capriccio o la sua “voglia di mostrare la lingua”. Questa libertà o “capriccio”, che egli rivendica ostinatamente come suo diritto essenziale e inalienabile, si trasforma nella più terribile delle prigioni, giacché essa è il frutto della perdita di ogni
fede, di ogni ideale per cui valga la pena d’impegnarsi e di vivere.
“Non da una cantina, ma da un seminterrato… sai… là sotto… da una casa di malaffare… Tutt’intorno c’era un tale sudiciume… bucce, immondizie… un puzzo tale… faceva proprio schifo.”
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Fëdor Dostoevskij
“Io non ero più nemmeno in grado di
amare giacché, ve lo ripeto,
amare per me significava tiranneggiare e
dominare moralmente. Per tutta la mia
vita io non sono stato neppure capace di figurarmi un amore diverso… non sono mai stato capace di rappresentarmi l’amore altrimenti che come una lotta, in cui cominciavo dall’odio e finivo con l’assoggettamento morale, dopo di che non sapevo mai che fare dell’essere assoggettato…”
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Fëdor Dostoevskij
Delle formiche che si rispettino hanno sempre cominciato dal formicaio; e col formicaio, molto probabilmente, finiranno, il che fa grande onore alla loro costanza e alla loro serietà. Ma l’uomo è un essere superficiale e spregevole, e forse, come un
giocatore di scacchi, è attratto soltanto dal processo che tende al raggiungimento dello scopo, e non dallo scopo stesso. E chissà, forse (è impossibile garantirlo), l’unico fine a cui tenda l’
umanità può anche consistere soltanto nella continuità di questo processo volto al raggiungimento di un fine o, per dirlo con altre parole, nella
vita stessa, e non precisamente nel fine, il quale, si capisce, può essere soltanto due più due fa quattro, e cioè una formula; ma il due più due fa quattro, signori miei, non è la
vita, bensì il principio della
morte.
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Fëdor Dostoevskij
Mi è venuta voglia di raccontarvi, signori miei, vi piaccia o no ascoltarmi, come mai io non sia riuscito a diventare neppure un insetto. Vi assicuro con la massima serietà che molte volte ho desiderato di diventare un insetto. Ma non ho ottenuto neppure questo onore. Vi giuro, signori miei, che avere una coscienza troppo lucida è una malattia, una vera malattia nel pieno senso della parola.
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Fëdor Dostoevskij
Nei ricordi di qualsiasi
uomo vi sono cose che egli non rivela a tutti, ma forse solo agli
amici. Ve ne sono anche di quelle che egli non rivela neanche agli
amici, ma forse soltanto a se stesso, e per giunta sotto il vincolo del segreto. E infine ci sono cose che l’uomo ha paura di svelare persino a se stesso; durante la sua
vita ogni onest’uomo ha ammucchiato un bel po’ di cosette di questo genere; anzi, si può dire perfino questo: quanto più una persona è onesta, tanto più numerose sono in lei le cosette di questo genere.
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Fëdor Dostoevskij
Signori, ammettiamo che l’uomo non sia stupido. (In realtà è assolutamente impossibile affermare una cosa simile di lui, giacché se egli fosse stupido, allora chi mai potrebbe essere intelligente?) Ma se non è stupido, è certo mostruosamente ingrato! Ingrato in maniera fenomenale. Io penso perfino che la migliore definizione dell’uomo sia questa:
animale bipede e ingrato. Ma questo non è ancora tutto, questo non è ancora il massimo suo difetto; il suo difetto più grave è la sua continua immoralità, un’immoralità costante, che si è portato dietro dal diluvio universale sino al periodo dello Schleswig-Holstein dei destini
umani. Immoralità e quindi irragionevolezza; giacché da
tempo è noto che l’irragionevolezza ha la sua origine soltanto dall’immoralità.
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Fëdor Dostoevskij
Allora mi tormentava anche un’altra circostanza: appunto il fatto che nessuno mi somigliava e che io non somigliavo a nessuno. “Io sono solo, e loro sono tutti,” pensavo tra me, e mi perdevo in quelle riflessioni.
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Fëdor Dostoevskij
La mia intelligenza era sviluppata in maniera morbosa, come può esserlo in un
uomo del nostro
tempo. Gli altri erano tutti ottusi e identici tra di loro, come un gregge di pecore. Forse soltanto a me, in tutto il nostro ufficio, sembrava continuamente di essere vile e servile, e mi pareva di esserlo proprio perché ero una persona evoluta. Non soltanto mi sembrava, ma in realtà era effettivamente così: vile e servile. Lo dico senza il minimo imbarazzo. Ogni persona onesta, ai nostri
tempi, è e dev’essere vile e servile. Tale è la condizione normale. Di ciò sono assolutamente convinto. Così è fatto l’uomo, è costruito proprio per questo.
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Fëdor Dostoevskij
Ci sono quelli che bevono per annegare il
dolore, e io invece per l’angoscia… vengo qua. Dillo anche tu: che c’è qui di
bello: ecco tu e io… siamo stati insieme… poco fa… e per tutto il
tempo non ci siamo detti una sola parola, e soltanto dopo tu ti sei messa a esaminarmi come meravigliata; e anch’io ho cominciato a osservarti. Forse così si ama? Forse così un essere umano deve incontrarne un altro? Questa è soltanto una mostruosità, ecco che cos’è!”
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Fëdor Dostoevskij
“…Non so cosa sarà, forse una porcheria, ma personalmente ripongo in esso grandi
speranze. Sarà una cosa forte e sincera; sarà
la verità”
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Fëdor Dostoevskij
Già, ma secondo me proprio qui sta la difficoltà! Signori miei, mi perdonerete se mi son messo a filosofare, ma ho alle spalle ben quarant’anni di sottosuolo, e quindi permettetemi di fantasticare un po’. Ecco, vedete: la ragione, signori miei, è una buona cosa, questo non si discute, ma la ragione è pur sempre soltanto ragione e soddisfa soltanto le facoltà razionali dell’uomo; la volontà invece è manifestazione di tutto il nostro essere, cioè di tutta la
vita umana, con la ragione e tutto il resto. E sebbene la nostra
vita, nelle sue manifestazioni volitive, si presenti spesso sotto un aspetto piuttosto miserabile, essa è pur sempre
vita e non soltanto un’estrazione di radice quadrata. Infatti, è assolutamente
naturale che io intenda vivere allo scopo di soddisfare tutte le mie facoltà vitali e non unicamente la mia facoltà raziocinante, che forse è soltanto una ventesima parte di tutte le mie facoltà vitali. Che cosa sa la ragione? La ragione sa soltanto ciò che ha avuto il
tempo d’imparare (c’è qualcosa che forse non saprà mai; certo ciò non è consolante, ma perché non dirlo?), mentre
la natura umana agisce invece nella sua integrità, con tutto ciò che è in lei, sia coscientemente che incoscientemente, e anche se mente, essa però vive.
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Fëdor Dostoevskij
“Non tutte, certo; però è sempre molto meglio che qui. Non c’è paragone. Quando si ama, si può vivere anche senza essere
felici. Anche nel
dolore la
vita è bella; è
bello stare al
mondo, in qualunque modo si viva. Ma qui invece, non c’è altro che il puzzo. Puah!”
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Fëdor Dostoevskij
E come mai voi siete così fermamente, così solennemente convinti che soltanto ciò che è normale e positivo, in una parola soltanto ciò che apporta prosperità, è vantaggioso per l’uomo? Non può darsi che la ragione sbagli nel valutare i vantaggi? Non potrebbe darsi che all’uomo non piaccia soltanto la prosperità? Non potrebbe darsi che gli piaccia altrettanto la sofferenza?
Non può darsi che la sofferenza sia per lui vantaggiosa esattamente nella stessa misura della prosperità?
E all’uomo talvolta piace terribilmente la sofferenza, gli piace alla follia, e anche questo è un fatto. Qui non è il caso d’interrogare la storia universale; interrogate piuttosto voi stessi, se soltanto siete uomini e se avete vissuto almeno un po’. Se chiedete la mia opinione personale, vi dirò che amare soltanto la prosperità mi sembra addirittura sconveniente. Sarà bene o sarà male, ma talvolta distruggere qualcosa può anche essere molto piacevole. Io qui, in realtà, non parteggio per la sofferenza, ma non parteggio neppure per la prosperità. Parteggio per… il mio capriccio, e voglio che mi sia garantito quando mi è necessario.
La sofferenza, per esempio, è inammissibile nei vaudevilles, questo lo so anch’io. Nel palazzo di cristallo essa è addirittura inconcepibile: la sofferenza è dubbio, negazione; e che razza di palazzo di cristallo sarebbe quello di cui si potesse dubitare? Eppure io sono convinto che l’uomo non rinuncerà mai alla vera, autentica sofferenza, e cioè alla distruzione e al caos. Giacché la sofferenza è la vera origine della coscienza. E sebbene io abbia dichiarato fin dal principio che la coscienza, secondo me, è la più grande disgrazia per l’uomo, tuttavia so
bene che essa sta tanto a cuore all’uomo che egli non la scambierebbe con nulla al
mondo.
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Fëdor Dostoevskij
S’intende che io odiavo tutti i miei colleghi d’ufficio, dal primo all’ultimo, e li disprezzavo tutti quanti, sebbene allo stesso
tempo ne avessi un po’ paura. Accadeva a volte che improvvisamente li considerassi superiori a me. Questi sentimenti si alternavano in me all’improvviso:
ora li disprezzavo,
ora invece li consideravo superiori. Una persona evoluta e
bene educata non può essere vanitosa senza esigere molto da sé e senza disprezzarsi, in certi istanti, fino all’odio. Ma sia che li disprezzassi, sia che li considerassi superiori, io abbassavo gli occhi di fronte a quasi tutti quelli che incontravo.
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Fëdor Dostoevskij
Non soltanto non sono stato capace di diventare cattivo, ma non sono riuscito a diventare niente di niente: né cattivo né buono, né un mascalzone né una persona perbene, né un eroe, né un insetto. Adesso tiro a campare nel mio angoletto, rodendomi e cercando consolazione nell’idea maligna e perfettamente inutile che una persona intelligente non può mai diventare sul serio qualcosa, e che soltanto gli sciocchi ci riescono. Sì, una persona intelligente, nel diciannovesimo secolo, deve, anzi è moralmente obbligata a diventare un essere essenzialmente privo di carattere; un
uomo che abbia del carattere è una persona attiva, e cioè una persona essenzialmente limitata.
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Fëdor Dostoevskij
“Non badare al fatto ch’io mi trovo qui, io non posso essere un modello per te. Forse sono ancora peggio di te. Del resto ci sono venuto ubriaco,” mi affrettai ad aggiungere per giustificarmi. “Per giunta un
uomo non può mai costituire un esempio per una donna...”
“E tutto ciò non è forse vergognoso, non è umiliante?” mi obietterete forse voi, scuotendo sprezzantemente il capo. “Lei è assetato di
vita, ma vuole risolvere i problemi della
vita con una filastrocca che ha solo un’apparenza di logicità. E come sono inopportune e impudenti le sue sparate, e allo stesso
tempo che paura che ha! Lei dice delle sciocchezze e se ne mostra soddisfatto; dice delle impertinenze e subito dopo ha paura di averle dette e chiede scusa. Ci assicura di non aver paura di niente e al
tempo stesso cerca d’insinuarsi nelle nostre grazie. Ci garantisce che sta digrignando i denti, e allo stesso
tempo dice delle spiritosaggini per farci ridere. Lei sa benissimo che le sue arguzie non sono affatto spiritose, ma evidentemente è molto soddisfatto del loro pregio letterario. Forse le è accaduto realmente di soffrire, ma non nutre nessun rispetto per la sua sofferenza. In lei ci sarà anche un po’ di
verità, ma non c’è pudore; per la vanità più meschina lei è capace di ostentare la sua
verità, metterla alla berlina, portarla al mercato… Lei vorrebbe effettivamente dire qualcosa, ma per paura si tiene nascosta la sua ultima parola, perché in lei non c’è la risolutezza necessaria per pronunziarla, ma soltanto la più vile insolenza. Lei si vanta di avere una coscienza, ma continua a esitare, giacché anche se la sua intelligenza lavora, il suo cuore è ottenebrato dalla corruzione, e senza un cuore puro non vi può essere neanche una piena e retta coscienza. E com’è fastidioso, con quanta insistenza lei si mette in mostra, come si contorce! È tutta una menzogna, solo menzogna, nient’altro che menzogna!”
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Fëdor Dostoevskij
La rivelazione improvvisa provoca nell’uomo del sottosuolo qualcosa di straordinario: per la prima e unica volta nella sua
vita egli conosce un istante di totale e autentico abbandono, e senza più alcun ritegno confessa a Liza tutta la sua infelicità, la sua miseria e abiezione, tutta l’intollerabilità della condizione in cui l’ha ridotto quella continua lotta con gli altri in cui consiste la sua
vita. Ma già un attimo dopo, mentre lei ancora lo stringe appassionatamente tra le braccia, si rende conto che la strada indicatagli da Liza è per lui impraticabile perché egli non può uscire dalla logica della lotta per il predominio:
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Fëdor Dostoevskij
Adesso io vi domando: che cosa dunque ci si può aspettare dall’uomo, e cioè da un essere dotato di così strane qualità? Provatevi a seppellirlo sotto tutti i tesori terrestri, affondatelo nella felicità fino al collo, cosicché alla superficie vengano a galla soltanto delle bollicine; concedetegli un tale benessere che non gli resti più assolutamente nulla da fare se non dormire, mangiare pasticcini e preoccuparsi della continuità della storia universale; ebbene anche in tal caso l’uomo, per mera ingratitudine, unicamente per il gusto di sbagliare, sarà capace di commettere una mascalzonata. Metterà a rischio perfino i pasticcini, e a bella posta desidererà la più dannosa delle sciocchezze, la più antieconomica delle assurdità, col solo e unico scopo di mescolare a tutta questa ragionevolezza così positiva il proprio funesto elemento fantastico. Preferirà tenersi i suoi
sogni fantastici, la sua più vuota stupidaggine, col solo e unico scopo di confermare a se stesso (come se ciò poi fosse tanto necessario) che gli uomini sono sempre uomini, e non tasti di pianoforte; giacché, sebbene soltanto le leggi della
natura siano autorizzate a suonare personalmente su questi tasti, tuttavia esse minacciano di suonarci tanto, che alla fine non sarà più possibile desiderar nulla di ciò che non sia previsto… Non basta: perfino nel caso in cui risultasse che l’uomo è effettivamente un tasto di pianoforte, e perfino se ciò gli venisse dimostrato matematicamente e anche con l’aiuto delle scienze
naturali, ebbene, neanche allora egli rinsavirebbe, ma farebbe a bella posta qualcosa in contrario, mosso unicamente dall’ingratitudine e tanto per far di testa sua.
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Fëdor Dostoevskij
A quel
tempo avevo soltanto ventiquattr’anni. La mia
vita era già allora tetra, disordinata e solitaria fino alla selvatichezza. Non facevo
amicizia con nessuno, evitavo perfino di parlare e mi rinchiudevo sempre più nel mio cantuccio. Nelle
ore d’ufficio alla cancelleria mi sforzavo addirittura di non guardare nessuno, e non soltanto mi rendevo perfettamente conto che i miei compagni di
lavoro mi consideravano uno strampalato, ma avevo sempre l’impressione che mi guardassero addirittura con un certo disgusto. Ogni tanto mi capitava di domandarmi: come mai nessun altro, eccetto me, ha l’impressione di essere guardato con disgusto? Uno dei miei colleghi aveva un viso ripugnante, tutto butterato, e perfino una certa aria brigantesca. A me sembrava che non avrei mai trovato il
coraggio di guardare in faccia nessuno con un viso così indecente. Un altro aveva un’uniforme così mal ridotta, che a stargli vicino si sentiva perfino un certo puzzo. Eppure nessuno di questi signori sembrava provare qualche imbarazzo a causa dell’abito o del viso o per qualche altro motivo di
natura morale. Né l’uno né l’altro immaginavano neppure di essere guardati con disgusto; e quand’anche se lo fossero immaginato, la cosa li avrebbe lasciati perfettamente indifferenti, purché i superiori non ci trovassero nulla da ridire.
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Fëdor Dostoevskij
“Non importa che il mio viso non sia
bello,” pensavo tra me, “purché in compenso sia nobile, espressivo e, soprattutto, straordinariamente intelligente.” Ma in realtà ero tormentato dalla certezza che il mio viso non avrebbe mai espresso tutte queste perfezioni. Ma più di tutto era spaventoso il fatto che lo giudicavo semplicemente stupido; giacché mi sarei anche accontentato della sola intelligenza. Non solo: avrei perfino accettato di avere un’espressione vile, a condizione tuttavia che gli altri trovassero il mio viso terribilmente intelligente.
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Fëdor Dostoevskij
“Ma via,” vi grideranno, “ribellarsi non è possibile: due più due fa quattro!
La natura non domanda mica il vostro permesso; lei non s’interessa mica dei vostri
desideri, né se vi piacciano o non vi piacciano le sue leggi. Voi siete obbligati ad accettarla così com’è, e perciò dovete accettare anche tutti i corollari. Un muro, quindi, è un muro…” eccetera. Signore Iddio, ma a me che importa delle leggi della
natura e dell’aritmetica se poi, chissà perché, queste leggi e questo due più due quattro non mi piacciono? S’intende che non cercherò di abbattere quel muro a testate se non avrò davvero la forza di abbatterlo, ma non mi concilierò con esso soltanto perché mi trovo davanti un muro di pietra e le mie forze non sono sufficienti.
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Fëdor Dostoevskij
“Ah-ah-ah! Ma allora anche la volontà, secondo lei non esisterebbe neppure!” mi interromperete scoppiando dal ridere. “La scienza ai nostri
tempi è riuscita ad anatomizzare così
bene l’uomo che ormai noi adesso sappiamo benissimo che la volontà e il cosiddetto
libero arbitrio in realtà non sono altro che…”
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Fëdor Dostoevskij
Infine poi mi annoio perché sto sempre senza far niente. Lo scrivere, in realtà, è una specie di
lavoro. Dicono che il
lavoro rende l’uomo buono e onesto. Ecco perlomeno un’occasione per diventarlo.
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Fëdor Dostoevskij
“Ehm…” rispondete voi. “I nostri
desideri sono per lo più errati per effetto dell’errata valutazione dei nostri interessi. Noi talvolta desideriamo delle vere e proprie sciocchezze perché in esse — a causa della nostra stupidaggine — crediamo di vedere la via più breve per ottenere un certo vantaggio che ci siamo proposti. Ebbene, quando tutto sarà stato anticipatamente spiegato e calcolato (cosa molto probabile, giacché appare
assurdo e umiliante
credere che certe leggi della
natura saranno sempre un mistero per l’uomo), ebbene, allora naturalmente non ci saranno più
desideri. Infatti se il volere, un giorno o l’altro, si accordasse completamente con la ragione, allora noi la smetteremmo di volere e ragioneremmo soltanto, appunto perché è assolutamente impossibile, per esempio, volere delle assurdità pur conservando l’uso della ragione, perché ciò significherebbe andare coscientemente contro la propria ragione e desiderare qualcosa di nocivo a noi stessi…
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Fëdor Dostoevskij
“Ma non è meglio, non sarà forse meglio,” fantasticavo più tardi, già a casa, cercando di soffocare nelle fantasie quel vivo, cocente
dolore, “non sarà forse meglio se lei si porterà eternamente con sé l’offesa ricevuta? L’offesa è anche purificazione; è la forma di coscienza più cocente e più dolorosa! Domani stesso avrei insozzata la sua
anima e sfinito il suo cuore. Ma adesso in lei l’offesa non morrà mai più, e per quanto ripugnante sia il fango che l’attende, tuttavia l’offesa ricevuta l’innalzerà e la purificherà… con l’odio… ehm… forse anche col perdono… Ma del resto lei si sentirà forse meglio per questo?”
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Fëdor Dostoevskij
“…Cominciai poco a poco… a sentire che
ora sarebbe stato imbarazzante alzare il capo e guardare Liza dritto negli occhi… Ormai le parti erano definitivamente scambiate… l’eroina era lei, e io invece ero solo una creatura umiliata e oppressa quale lei era stata davanti a me quella notte, quattro giorni prima…”
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Fëdor Dostoevskij
Insomma, della storia universale si può dire tutto, assolutamente tutto ciò che può venire in mente all’immaginazione più sfrenata. Soltanto una cosa non si può dire: che sia ragionevole. Provatevi a dirlo e la parola vi si metterà di traverso nella strozza. E per giunta ecco che scherzo capita a ogni momento: nella
vita appaiono continuamente uomini profondamente morali e ragionevoli, persone sagge e amanti del genere umano, che si propongono appunto lo scopo di comportarsi per tutta la loro
vita nel modo più morale e più ragionevole, e d’illuminare, per così dire, col proprio esempio i loro simili, con il fine di dimostrare agli altri che a questo
mondo è effettivamente possibile vivere moralmente e ragionevolmente. Ebbene? È noto che molti di questi amatori del genere umano, prima o poi, verso la fine della loro
vita cambiano profondamente, dando origine ad aneddoti sul loro conto, e aneddoti talvolta estremamente sconvenienti.
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Fëdor Dostoevskij
“Secondo punto: odio l’immoralità e i damerini da strapazzo, soprattutto questi ultimi! Terzo punto:
amo la verità, la sincerità e l’onestà,” continuai a dire quasi macchinalmente, perché cominciavo a sentirmi agghiacciare dallo spavento, non riuscendo a capire come fossi capace di dire cose simili… “Amo il pensiero, m’sieu Zverkov,
amo il vero cameratismo, quando tutti sono su un piede di eguaglianza, e non… ehm… Amo… Ma del resto, perché dirlo? Bevo alla sua salute, m’sieu Zverkov. Seduca le circasse e combatta i nemici della patria e… e… Alla sua salute, m’sieu Zverkov!”
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Fëdor Dostoevskij
“Voi sareste molto contenti, signori miei, se io me ne andassi. Non ci penso neanche! A bella posta me ne resterò seduto qui a bere fino alla fine, per dimostrarvi che non vi tengo proprio in nessun conto. Me ne starò qui seduto a bere perché questo è un locale pubblico e io ho pagato per entrare. Starò qui seduto a bere perché voialtri vi considero marionette, marionette inesistenti. Starò qui seduto a bere… e anche a cantare, se me ne verrà voglia; già, anche a cantare, perché ne ho il diritto… di cantare… ehm.”
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Fëdor Dostoevskij
“…Ho i nervi sottosopra e non riesco ad avere il dominio di me stesso. I miei tormenti di ogni sorta sono adesso così pesanti che non voglio neppure parlarne. Mia moglie sta morendo, letteralmente. Ogni giorno c’è un momento in cui aspettiamo la sua
morte. Le sue sofferenze sono spaventevoli e si ripercuotono su di me… Il racconto mi si allunga. Qualche volta ho l’impressione che non valga nulla, ma continuo egualmente a scrivere con calore; non so che cosa ne verrà fuori… Temo che la
morte di mia moglie verrà presto e allora sarà necessaria un’interruzione nel lavoro…”
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Fëdor Dostoevskij