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Aforismi e frasi tratti da La Peste di Albert Camus

«Sì», disse, «lei si dice che ci vuole dell'orgoglio. Ma io non ho che l'orgoglio che ci vuole, mi creda. Non so quello che mi aspetta né quello che accadrà, dopo. Per il momento ci sono dei malati e bisogna guarirli. Poi, essi rifletteranno, e anch'io. Ma il più urgente è guarirli; io li difendo come posso, ecco».

La Peste - Albert Camus

«Al coraggio. Ora so che l'uomo è capace di grandi azioni; ma se non è capace d'un grande sentimento, non m'interessa».

La Peste - Albert Camus

«Ecco: lei è capace di morire per un'idea, è visibile a occhio nudo. Ebbene, io ne ho abbastanza delle persone che muoiono per un'idea. Non credo all'eroismo, so che è facile e ho imparato ch'era omicida. Quello che m'interessa è che si viva e che si muoia di quello che si ama».

La Peste - Albert Camus

«Come tutte le malattie di questo mondo. Ma quello che è vero dei mali di questo mondo è vero anche della peste. Può servire a maturar qualcuno. Ciononostante, quando si vedono la miseria e il dolore che porta, bisogna essere pazzi, ciechi o vili per rassegnarsi alla peste».

La Peste - Albert Camus

«E' un'idea, e un'idea corta, dal momento in cui ci distoglie dall'amore. E appunto noi non siamo più capaci d'amore. Rassegniamoci, dottore: aspettiamo di diventarlo e se veramente non è possibile, aspettiamo la liberazione generale senza giocare agli eroi.».

La Peste - Albert Camus

Per poco non chiederebbero di esser decorati. Ma che vuol dire la peste?

E' la vita, ecco tutto».

La Peste - Albert Camus

«Forse», rispose il dottore. «Ma lei sa, io mi sento più solidale coi vinti che coi santi. Non ho inclinazione, credo, per l'eroismo e per la santità. Essere un uomo, questo m'interessa».

La Peste - Albert Camus

Per qualche tempo, almeno, sarebbero stati felici; ora sapevano che se una cosa si può desiderare sempre e ottenere talvolta, essa è l'affetto umano.

La Peste - Albert Camus

Semplicemente, pensava sempre a lei. Quel che avrebbe voluto fare, era scriverle una lettera per giustificarsi. «Ma è difficile», diceva, «ci penso da molto tempo. Sin tanto che ci siamo amati, ci siamo intesi senza parole. Ma non ci si ama per sempre. A un dato momento, avrei dovuto trovare le parole per trattenerla, ma non ho potuto». Grand si soffiava il naso in una sorta di tovagliolo a quadretti, poi si asciugava i mustacchi. Rieux lo guardava.

La Peste - Albert Camus

Anche questo è normale. E alla fine d'ogni cosa, ci si accorge che nessuno è realmente capace di pensare a un altro, foss'anche nella peggiore delle sventure. Infatti, pensare realmente a qualcuno, e pensarci minuto per minuto, senza esser distratto da nulla, né dalle faccende domestiche, né dal volo d'una mosca, né dalla cena, né da un prurito. Ma ci sono sempre mosche e pruriti. Per questo la vita è difficile da vivere e loro lo sanno».

La Peste - Albert Camus

«Non abbia timore, ne ho ancora per molto e li vedrò morire tutti. So vivere, io».

La Peste - Albert Camus

«Coi nostri lasciapassare, possiamo andare sul molo. Insomma, è troppo stupido non vivere che nella peste. Beninteso, un uomo deve battersi per le vittime. Ma se ha finito di amare ogni altra cosa, a cosa serve che si batta?»

La Peste - Albert Camus

Da questo punto di vista, erano entrati nell'ordine stesso della peste, tanto più efficace quanto più era mediocre. Nessuno, tra noi, aveva più grandi sentimenti; ma tutti provavano sentimenti monotoni. «E' ora che finisca», dicevano i nostri concittadini: in periodo di flagello, infatti, è naturale augurarsi la fine delle sofferenze collettive, e davvero essi si auguravano che finissero. Ma questo si diceva senza il fuoco o l'acre sentimento del principio, e soltanto con alcune ragioni che ancora ci rimanevano chiare, molto poche. Al grande e selvaggio slancio delle prime settimane era succeduto un abbattimento che si avrebbe avuto torto di prendere per rassegnazione, ma che tuttavia era una sorta di provvisorio consenso.

La Peste - Albert Camus

Erano arrivati al centro della città: «E' stupido, dottore, lei mi capisce: io non sono stato messo al mondo per fare dei reportages, ma forse sono stato messo al mondo per vivere con una donna. Non è nella regola?»

La Peste - Albert Camus

«Appunto: se si può essere un santo senza Dio, è il solo problema concreto che io oggi conosca».

La Peste - Albert Camus

«Non è possibile, se è guarito; lo sapete meglio di me, la peste non perdona».

La Peste - Albert Camus

E ciascuno dovette accettare di vivere giorno per giorno, e solo di fronte al cielo. L'abbandono generale, che alla lunga poteva temprare i caratteri, cominciò intanto col renderli futili. Per alcuni dei nostri concittadini, a esempio, essi erano allora soggetti a un'altra schiavitù, che li metteva al servizio del sole e della pioggia. Sembrava, a vederli, che ricevessero per la prima volta, e direttamente, l'impressione del tempo che faceva. Si rallegravano in faccia alla semplice vista d'una luce dorata, mentre i giorni di pioggia gli mettevano sui volti e sui pensieri un velo spesso. Qualche settimana prima, sfuggivano a tale debolezza e a tale servitù irragionevole in quanto non erano soli di fronte al mondo e, in una certa misura, la persona che viveva con essi si poneva davanti al loro universo. A cominciare da quel momento, invece, essi furono apparentemente abbandonati ai capricci del cielo, ossia soffrirono e sperarono senza ragione.

La Peste - Albert Camus

«Lei crede in Dio, dottore?»

La Peste - Albert Camus

Ma sapeva, inoltre, che non è gran cosa amare una creatura o almeno che un amore non è mai sì forte da trovare la propria espressione. Di modo che sua madre e lui si sarebbero sempre amati in silenzio. E lei sarebbe morta - o lui - senza che, durante la loro vita, fossero potuti andar oltre, nella confessione del loro affetto. Nello stesso modo egli era vissuto accanto a Tarrou, e questi era morto, quella sera, senza che la loro amicizia avesse il tempo di essere veramente vissuta. Tarrou aveva perduto la partita, come diceva; ma lui, Rieux, cosa aveva guadagnato? Aveva soltanto guadagnato di aver conosciuto la peste e di ricordarsene, di aver conosciuto l'amicizia e di ricordarsene, di conoscere l'affetto e di doversene ricordare un giorno. Quanto l'uomo poteva guadagnare, al gioco della peste e della vita, era la conoscenza e la memoria. Era forse questo che Tarrou chiamava guadagnar la partita!

La Peste - Albert Camus

«No», disse Rambert con amarezza, «lei non può capire. Lei parla il linguaggio della ragione, lei è nell'astratto».

La Peste - Albert Camus

«Insomma, la peste gli serve bene; d'un uomo solitario e che non lo voleva essere, ha fatto un complice: lui è visibilmente un complice, e un complice si diverte. È complice di tutto quanto vede, delle superstizioni, dei terrori illegittimi, delle suscettibilità di quelle anime allarmate; della loro mania di non voler parlare della peste e tuttavia di non finir di parlarne; del loro spavento e del loro pallore al minimo mal di testa, da che hanno saputo che la malattia comincia con le cefalee; e della loro sensibilità irritata, suscettibile, instabile insomma, che trasforma in offesa una dimenticanza e si affligge per la perdita d'un bottone dei calzoni».

La Peste - Albert Camus

«Che belle schede, nevvero? Ebbene, no, sono dei morti: i morti della notte».

La Peste - Albert Camus

Terminando, Tarrou faceva oscillare una gamba, sì che il piede batteva piano contro la terrazza. Dopo un silenzio, il dottore, sollevandosi un poco, domandò se Tarrou avesse una idea della strada da prendere per arrivare alla pace.

La Peste - Albert Camus

Una maniera facile per far la conoscenza d'una città è quella di cercare come vi si lavora, come vi si ama e come vi si muore. Nella nostra piccola città, forse per effetto del clima, tutto questo si fa insieme, con la stess'aria frenetica e assente: ossia, ci si annoia e ci si applica a contrarre delle abitudini. I nostri concittadini lavorano molto, sempre per arricchire; s'interessano soprattutto del commercio e in primo luogo si preoccupano, com'essi dicono, di concludere affari. Naturalmente, hanno anche gusto alle cose semplici, amano le donne, il cinematografo e i bagni di mare; ma, assai ragionevolmente, riserbano i piaceri per il sabato sera e la domenica, cercando, negli altri giorni della settimana, di guadagnare molti soldi. La sera, lasciati gli uffici, si trovano a ora fissa nei caffè, passeggiano per lo stesso viale o anche si mettono ai balconi. I desideri dei più giovani sono violenti e brevi, mentre i vizi dei più anziani non superano le associazioni di bocciomani, i banchetti tra i camerati e i circoli dove si gioca forte d'azzardo alle carte.

La Peste - Albert Camus

«Ma no, è incapace di soffrire o di essere felice a lungo. Non è quindi capace di nulla che valga».

La Peste - Albert Camus

Gli innamorati, infatti, erano in preda alla loro idea fissa. Per loro una sola cosa era mutata; il tempo, che durante i mesi dell'esilio avrebbero voluto spingere per affrettarlo, che ancora si accanivano a precipitare, quando ormai si trovavano in vista della nostra città, si augurarono invece di rallentarlo, di tenerlo sospeso, non appena il treno cominciò a frenare prima di fermarsi. Il senso, vago e insieme acuto in loro, di tanti mesi perduti per l'amore, gli faceva confusamente esigere una sorta di compenso, sì che il tempo della gioia avrebbe dovuto trascorrere due volte meno in fretta del tempo dell'attesa. E coloro che li aspettavano in una camera o sulla banchina, come Rambert, la cui donna avvertita da settimane aveva fatto il necessario per arrivare, erano nella stessa impazienza e nello stesso smarrimento. L'amore o l'affetto che i mesi di peste avevano ridotto all'astratto, Rambert ora aspettava, in un tremito, di confrontarlo con la creatura di carne che n'era stata il sostegno.

La Peste - Albert Camus

Di conseguenza, si costringevano a non pensar mai al giorno della loro liberazione, a non rivolgersi più verso il futuro e a tener sempre, diremmo, gli occhi bassi. Ma naturalmente una tale prudenza, un tal modo di barare col dolore, di rinchiudere le sentinelle per rifiutar battaglia, erano mal ricompensati. Nello stesso tempo che evitavano quell'inabissarsi, di cui a nessun costo volevano saperne, si privavano poi di quei minuti, nel complesso frequenti, in cui potevano dimenticare la peste nelle immagini del futuro ricongiungimento. E di qui, incagliati a mezza via tra gli abissi e le cime, ondeggiavano più che non vivessero, abbandonati a giorni senza direzione e a sterili ricordi, ombre erranti che non avrebbero potuto prender forza che accettando di radicarsi nella terra del loro dolore.

La Peste - Albert Camus

Sotto i cieli di luna, la città allineava i muri bianchi e le strade rettilinee, mai macchiate dalla massa nera d'un albero, mai turbate dal passo d'un uomo né dall'urlo di un cane. La grande città silenziosa non era più, allora, che un complesso di cubi massicci e inerti, tra i quali le taciturne effigi di benefattori dimenticati o d'antichi grandi uomini soffocati nel bronzo sedevano sole, coi loro finti visi di pietra o di metallo, a evocare una sminuita immagine di quello ch'era stato l'uomo. Qui mediocri idoli troneggiavano sotto un cielo spesso, nei quadrivi senza vita, insensibili blocchi che ben figuravano l'immobile regno in cui eravamo entrati o almeno il suo ordine estremo, quello d'una necropoli in cui la peste, la pietra e la notte avrebbero finito col far tacere ogni voce.

La Peste - Albert Camus

A Tarrou che aveva avuto l'aria di meravigliarsi alla sua vita claustrale, spiegò, press'a poco, che secondo la religione la prima metà della vita umana era un'ascesa e l'altra metà una discesa; che nella discesa le giornate dell'uomo non gli appartenevano più, che gliele potevano togliere in qualsiasi momento, che quindi l'uomo non poteva farne nulla e che il meglio era proprio non farne nulla. D'altronde, la contraddizione non lo spaventava: aveva detto poco dopo a Tarrou che certamente Dio non esisteva; infatti, nel caso contrario, i preti sarebbero stati inutili. Ma, da alcune riflessioni che seguirono, Tarrou capì che tale filosofia dipendeva strettamente dal fastidio che gli davano le questue frequenti della sua parrocchia. A compiere il ritratto del vecchio, vi era poi un desiderio, che sembrava profondo e che parecchie volte egli disse davanti al suo interlocutore: sperava di morire vecchissimo.

La Peste - Albert Camus

A esempio, dopo aver riportato che la scoperta d'un topo morto ha portato il cassiere dell'albergo a commettere un errore nel conto, Tarrou aggiunge, con una scrittura meno nitida del solito: «Domanda: come fare per non perdere il proprio tempo? Risposta: provarlo in tutta la sua durata. Mezzi: passare giornate nell'anticamera d'un dentista, s'una sedia scomoda; vivere sul balcone nel pomeriggio della domenica; ascoltare conferenze in una lingua che non si conosce; scegliere i tragitti ferroviari più lunghi e più disagevoli e viaggiare naturalmente in piedi; far la coda ai botteghini degli spettacoli e non prendere i posti, eccetera eccetera». Ma sùbito dopo questi scarti di linguaggio o di pensiero, i taccuini cominciano con una minuta descrizione dei tram della nostra città, della loro forma a barchetta, del loro colore indeciso e della loro abituale sporcizia, chiudono tali considerazioni con un «da notare» che non spiega nulla.

La Peste - Albert Camus

A mezzanotte, talvolta, nel gran silenzio della città allora deserta, al momento di andare a letto per un sonno troppo breve, il dottore girava il bottone del suo apparecchio. E dai confini del mondo, traverso migliaia di chilometri, voci ignote e fraterne si provavano goffamente a dire la loro solidarietà, e la dicevano, infatti, ma dimostrando nello stesso tempo la terribile impotenza, in cui si trova ogni uomo, di spartire veramente un dolore che non può vedere: «Grano, Grano!» Vanamente l'appello traversava i mari, vanamente Rieux stava in ascolto; sùbito l'eloquenza saliva e denunciava ancor meglio la separazione essenziale, che rendeva due estranei Grand e l'oratore. «Grano, sì, Orano!» Ma no, pensava il dottore: amare o morire insieme, non vi è altra risorsa. Gli altri son troppo lontani.

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Era citata anche la predica di Paneloux, ma col commento che segue: «Capisco un tale simpatico ardore. Al principio dei flagelli e quando sono terminati, si fa sempre un po' di retorica. Nel primo caso l'abitudine non è ancora perduta, e nel secondo è ormai tornata. Soltanto nel momento della sventura ci si abitua alla verità, ossia al silenzio. Aspettiamo».

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«Poi, non ho cambiato. Da tanto tempo ho vergogna, vergogna da morirne, di esser stato, sebbene da lontano, sebbene in buona fede, anch'io un assassino. Col tempo, mi sono semplicemente accorto che anche i migliori d'altri non potevano, oggi, fare a meno di uccidere o di lasciar uccidere: era nella logica in cui vivevano, e noi non possiamo fare un gesto in questo mondo senza correre il rischio di far morire. Sì, ho continuato ad aver vergogna, e ho capito questo, che tutti eravamo nella peste; e ho perduto la pace. Ancor oggi la cerco, tentando di capirli tutti e di non essere il nemico mortale di nessuno. So soltanto che bisogna fare quello che occorre per non esser più un appestato, e che questo soltanto ci può far sperare nella pace o, al suo posto, in una buona morte. Questo può dar sollievo agli uomini e, se non salvarli, almeno fargli il minor male possibile e persino, talvolta, un po' di bene. E per questo ho deciso di rifiutare tutto quello che, da vicino o da lontano, per buone o per cattive ragioni, faccia morire o giustifichi che si faccia morire.

La Peste - Albert Camus

Avrebbero voluto, infatti, potervi aggiungere tutto quello che deploravano di non aver fatto quando potevano ancora farlo con colui o colei che aspettavano; nello stesso modo, a tutte le circostanze, anche relativamente felici, della loro vita di prigionieri, essi univano l'assente, e quello ch'erano allora non li poteva soddisfare. Impazienti del proprio presente, nemici del proprio passato e privi di futuro, somigliavano a coloro che la giustizia o l'odio degli uomini fa vivere dietro le sbarre. Insomma, il solo mezzo per sfuggire a una tale insopportabile vacanza era quello di far correre i treni con la fantasia e di colmare le ore coi ripetuti rintocchi d'un campanello, sebbene ostinatamente silenzioso.

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Il resto della storia, secondo Grand, era semplicissimo. Sono cose che accadono a tutti: ci si sposa, ci si ama ancora un po', si lavora. Si lavora tanto che si dimentica l'amore. Anche Jeanne lavorava, le promesse del capufficio non essendo state mantenute. Qui, ci voleva poca fantasia per capire quel che volesse dire Grand. Complice la fatica, egli si era lasciato andare, aveva taciuto sempre di più e non aveva sostenuto la giovane moglie nell'idea che lei era amata. Un uomo che lavora, la povertà, il futuro lentamente chiuso, il silenzio delle sere intorno alla tavola, non vi è posto per la passione in un tale universo.

La Peste - Albert Camus

Rivestiti, andarono via senza aver pronunciato una parola; ma avevano lo stesso cuore, e il ricordo di quella notte gli era dolce. Quando scorsero da lontano la sentinella della peste, Rieux sapeva che Tarrou si era detto, come lui, che la malattia li aveva dimenticati per un po', che questo era un bene, ma che adesso bisognava ricominciare.

La Peste - Albert Camus

«Per questo, inoltre, l'epidemia non m'insegna nulla, se non che bisogna combatterla al suo fianco, Rieux. Io so di scienza certa (tutto so della vita, lei lo vede bene) che ciascuno la porta in sé, la peste, e che nessuno, no, nessuno al mondo ne è immune. E che bisogna sorvegliarsi senza tregua per non essere spinti, in un minuto di distrazione, a respirare sulla faccia d'un altro e a trasmettergli il contagio. Il microbo, è cosa naturale. Il resto, la salute, l'integrità, la purezza, se lei vuole, sono un effetto della volontà e d'una volontà che non si deve mai fermare. L'uomo onesto, colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile. E ce ne vuole di volontà e di tensione per non essere mai distratti; sì, Rieux, essere appestati è molto faticoso; ma è ancora più faticoso non volerlo essere. Per questo tutti appaiono stanchi: tutti, oggi, si trovano un po' appestati. Ma per questo alcuni che vogliono finire di esserlo, conoscono un culmine di stanchezza, di cui niente li libererà, se non la morte.

La Peste - Albert Camus

«Escono, se ne vedono in tutte le pattumiere, è la fame».
La Peste - Albert Camus

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